#2 – Rivista CFM

Per noi, quando si tratta di scrivere per “il Centro”, si consuma una lotta interiore nella quale si fronteggiano due forze opposte e contrarie: il desiderio di comunicare e il numero di battute da comporre (2.500? 3.500?). Di fronte alla pagina bianca, la somma delle parole da scrivere sembra una sponda lontana da toccare, un debito difficile da saldare, una scommessa dall’esito incerto. E non è questo lo sforzo maggiore: l’ostacolo più arduo, la domanda più bruciante che si nasconde dietro il timore di cosa dire e accompagna la stesura del testo è: «queste parole hanno forza e peso sufficienti per interessare chi legge fino all’ultima riga?».

Questo interrogativo, lo sappiamo, può essere allargato, senza fatica, a scenari più vasti e quotidiani e viene spontaneo domandarsi perché, in un contesto già saturo di parole (questo dato può essere già considerato una parziale spiegazione), sia così impegnativo leggere una pagina di giornale, seguire un discorso non banale, sostenere una conversazione priva di frasi fatte o di luoghi comuni. Vogliamo, dunque, brevemente, offrire un piccolo e modesto contributo, senza alcuna pretesa di esaurire l’argomento, per approfondire il tema della comunicazione. Innanzitutto, le nostre parole dicono sempre qualcosa di noi, spesso anche quello che non siamo (e magari ci piacerebbe essere). Molte volte, legittimamente, non si considerano degne di attenzione quelle affermazioni o quei concetti che sono percepiti poveri di verità, pacchi vuoti, belle vetrine con merce di scarsa qualità. Certamente sarebbe una generalizzazione troppo facile ritenere che la mancanza di ascolto sia da addebitare esclusivamente a chi si esprime, tuttavia la ricerca dell’autenticità è un criterio al quale non si può rinunciare. Il filosofo francese Henri Bergson, in “Evoluzione creatrice”, così si esprime: «La comunicazione avviene quando, oltre al messaggio, passa anche un supplemento di anima».

Il linguaggio che vorremmo trovaste in queste pagine è quello dell’autenticità mescolato alla nostra anima. Lo stesso codice adottato dal Centro; una lingua sempre da imparare e affinare. La nostra cura si concentra su questo obiettivo: tenere allineati la realtà e la propria identità. «Parla un po’, così che ti veda» pare sia una frase attribuita a Socrate: scriviamo, parliamo, comunichiamo per essere visti, per conoscerci, per poterci incontrare. Se tu, lettore, hai avuto pazienza e perseveranza da arrivare fino a qui, forse, ci siamo anche incontrati.

di Giuliano Valagussa

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