#5 – Rivista CFM

Sembrerebbe strano, contraddittorio… Nel nostro contesto attuale così fosco, così complesso, così marcato dall’individualismo e dall’egoismo, il volontariato risulta essere una presenza viva e tenace, inossidabile. Almeno dalle nostre parti, probabilmente, è più facile trovare chi, almeno per una breve parentesi della sua vita, abbia sperimentato una qualsiasi forma di volontariato, piuttosto che il contrario. È una realtà che si abbina alla perfezione con le espressioni più cariche di umanità del nostro vocabolario: ”servizio”, “solidarietà”, “attenzione”, “gratuità”, “cura” …. È una realtà dotata di inesauribile fantasia, espressa in forme e in ambiti sempre nuovi e diversi. È una realtà defilata, a volte in penombra e di poco rumore, della quale, però, è facile coglierne l’importanza. Un ipotetico identikit del volontario, verosimilmente, prevederebbe questi tratti: un desiderio di mettersi in gioco e di intervento nelle situazioni di difficoltà, lo schivare l’indifferenza e il quieto vivere, una genuina simpatia per il più debole, l’escluso, l’indigente. Anche chi è impegnato in un volontariato di tipo ambientale o verso gli animali, presta un servizio che va indirettamente a beneficio di tutti, possiede una visione che si potrebbe definire cosmica. La natura del volontario è di per sé priva di etichette: non è ad appannaggio di religioni, ideologie, morali … Al massimo, per essere più efficace, predilige il plurale, al singolare: meglio l’associazione o il gruppo rispetto all’intervento individuale.. Perché ci si dedica a questo tipo di attività? Quali i limiti, quali i rischi? La sensibilità, l’interesse, la curiosità, l’indiretto coinvolgimento, la casualità, l’imitazione, la predisposizione sono elementi che concorrono a spingere verso questa forma di impegno sociale. Tra le motivazioni potrebbero insinuarsi la ricerca di autostima, l’appagamento personale, un sentirsi a posto che assolve, quasi fosse una quota da versare, il senso di giustizia. L’ideale sarebbe cancellare i confini tra vita privata e volontariato, facendo diventare quest’ultimo la diretta e coerente espressione del nostro modo di vivere e di pensare, di prendere decisioni, di leggere la realtà. Una pretesa esagerata? E se, invece, l’ambiente professionale e sociale in cui siamo immersi fosse la base di partenza per fare e vivere al meglio quelle attività e relazioni a cui ci dedichiamo con uno sguardo che sappia comprendere gli altri, non saremmo più vicini alla meta?

di Giuliano Valagussa

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